La Corte di Cassazione, Sezioni Unite, si è pronunciata in ordine al predetto quesito con la sentenza 12564 del 13/02/2018, risolvendo una controversia interpretativa ormai dibattuta negli anni.

La vicenda verte sulla richiesta di risarcimento danni avanzata dalla moglie e dai prossimi congiunti del sig. D.S.V., in seguito all’avvenuto decesso di quest’ultimo, il quale era stato investito durante un incidente stradale per un’imprudente condotta di guida del sig. F.S.
In esito al giudizio di primo e di secondo grado, promosso nei confronti di F.S. e della Compagnia Assicurativa, le richieste risarcitorie avanzate dai familiari erano state parzialmente accolte, in quanto l’avvenuto decesso del sig. D.S.V permetteva alla moglie di godere della pensione di reversibilità, il cui ammontare era più alto del reddito percepito dal defunto marito e, tale introito escludeva l’esistenza di un danno patrimoniale dei prossimi congiunti.

I familiari proposero quindi ricorso in Cassazione e la questione venne rimessa alle Sezione Unite, in quanto gli orientamenti sul tema erano tra loro in contrasto.
Un primo orientamento era favorevole al cumulo della pensione di reversibilità con il risarcimento dei danni, in considerazione del differente titolo che giustificava la liquidazione, la prima avente natura di erogazione previdenziale, il secondo quale conseguenza di un fatto illecito.
Il secondo orientamento, contrario alla predetta interpretazione, riteneva non dovesse applicarsi alcun cumulo, in quanto l’erogazione della pensione di riversibilità e la liquidazione del risarcimento danni erano riconducibili al fatto illecito.

In mancanza di quest’ultimo, i familiari non avrebbero percepito né la pensione né il risarcimento dei danni.
Inoltre, il risarcimento dei danni non doveva né impoverire né arricchire il danneggiato e, soprattutto, non doveva consentire a quest’ultimo di godere di una situazione patrimoniale migliore rispetto a quella in cui si sarebbe trovato se il fatto illecito non si fosse verificato.
Le Sezioni Unite hanno ritenuto corretta l’applicazione del principio del cumulo, poichè i soggetti obbligati, Ente Previdenziale e la Compagnia Assicurativa, sono soggetti distinti, come sono distinti i titoli che giustificano la pretesa, la legge che prevede la pensione di reversibilità e il contratto assicurativo che prevede l’obbligo di risarcimento dei danni.

Secondo la Corte, la pensione di reversibilità non è una forma di indennizzo derivante da un fatto illecito di un terzo, ma un diritto acquisito dal lavoratore che, con un costante sacrificio ha contribuito ad alimentare la propria posizione previdenziale, con lo scopo di garantire ai propri congiunti un periodico sostentamento, qualora si verifichi l’evento morte, indipendentemente dalla ragione per cui si è verificato.